Spesso sentiamo dire che imparare una lingua straniera può prevenire o almeno rinviare l'insorgenza della demenza. Vediamo, dunque, quanto c’è di vero in questa affermazione, secondo Richard Roberts e Roger Kreuz, coautori del libro “Becoming Fluent: How Cognitive Science Can Help Adults Learn a Foreign Language” (Diventare fluenti: Come la scienza cognitiva può aiutare gli adulti ad imparare una lingua straniera) e del nuovo libro appena pubblicato “Changing Minds: How Aging Affects Language and How Language Affects Aging” (La mente che cambia: Come l'invecchiamento influenza il linguaggio e come il linguaggio influenza l'invecchiamento).

Innanzitutto, con demenza si intende la perdita delle capacità cognitive e si identificano oltre cento tipi di malattie diverse che si manifestano con disturbi di funzioni cerebrali come il pensiero, l’orientamento, la memoria e il linguaggio. Il morbo di Alzheimer è la forma di demenza più nota e più comune. Attualmente, non conosciamo bene le cause di questa malattia e, di conseguenza, non ci sono misure provate che le persone possono adottare per prevenirla.

Tuttavia, alcuni esperti pensano che imparare una lingua straniera potrebbe aiutare a ritardare l'insorgenza della demenza.

 

Alcune idee sbagliate

Secondo Roberts e Kreuz, esistono però alcune idee sbagliate sulla demenza e sull'invecchiamento del cervello. Per prima cosa, la demenza non è inevitabile nel normale processo di invecchiamento: la maggior parte degli anziani non sviluppa il morbo di Alzheimer o altre forme di demenza.

Inoltre, l'idea che la demenza possa essere prevenuta si basa sul paragone fatto tra il cervello e un qualsiasi muscolo. Per questo motivo pensiamo che sia importante esercitarlo e che per rimanere mentalmente in forma, bisogna fare un costante allenamento.

Oltre a ciò che affermano Roberts e Kreuz nel loro libro, secondo un altro recente studio dell’Università di Montreal, chi parla due lingue esercita regioni cerebrali specifiche e può quindi aumentare lo spessore corticale e la densità della materia grigia.

Tuttavia, poiché ogni caso di demenza è diverso, essere istruiti, bilingue o essere un lettore accanito non sempre può fare una differenza.

 

Il bilinguismo nel mondo

Il bilinguismo, cioè la capacità che ha un individuo di usare alternativamente e senza difficoltà due diverse lingue, si verifica più comunemente quando i bambini sono esposti a due lingue, sia in casa (madre che parla spagnolo, padre che parla francese) o più formalmente nella scuola primaria.

Inoltre, il bilinguismo e il multilinguismo sono più comuni di quanto si possa pensare: è stato stimato che ci sono meno persone monolingue al mondo rispetto a persone bilingue e plurilingue. Sebbene in molti paesi la maggior parte degli abitanti condividano una sola lingua (ad esempio, in Italia e in Germania), altri paesi hanno diverse lingue ufficiali (come il Belgio e il Canada).

Ad esempio, come scrivono Roberts e Kreuz nel loro libro, la Svizzera ha la stessa popolazione di New York City (circa otto milioni di persone), eppure ha quattro lingue ufficiali: tedesco, francese, italiano e romancio. Inoltre, in gran parte dell'Africa, l'arabo, lo swahili, il francese e l'inglese sono spesso conosciuti e utilizzati da persone che a casa parlano una lingua diversa rispetto a quella che parlano fuori.

Quindi, il bilinguismo e il multilinguismo sono diffusi in tutto il mondo.

 

Bilinguismo e capacità cognitive

E per quanto riguarda le capacità cognitive, la ricerca su coloro che padroneggiano più di una lingua dipinge un quadro incoraggiante.

Da un lato, infatti, le persone bilingue sorpassano quelle monolingue nelle prove di attenzione selettiva e multitasking.

Come riportano Roberts e Kreuz, l'attenzione selettiva può essere misurata con quello che viene chiamato Stroop Test, in cui gli individui guardano una lista di nomi di colori scritti in colori diversi. Il compito è quello di nominare i colori in cui sono stampate le parole, invece che dire la parola stessa. Poiché leggiamo automaticamente, può essere difficile ignorare la parola “blu” e dire a voce alta che è stampata in verde.

Inoltre, le persone bilingue sono più brave anche nel multitasking: una possibile spiegazione è che chi parla due lingue inibisce continuamente una delle due, e questo processo di inibizione conferisce benefici cognitivi correlati ad altre attività.

Tuttavia, è stato dimostrato che gli individui bilingui hanno un vocabolario più scarso e impiegano più tempo a recuperare le parole dalla memoria rispetto ai monolingui. In ogni modo, nel lungo termine i vantaggi cognitivi e linguistici dell'essere bilingue superano di gran lunga questi due aspetti.

Dunque, se i benefici dell'essere bilingue si estendono ad altri aspetti della cognizione, allora ci si aspetterebbe di vedere una minore incidenza del morbo di Alzheimer nelle persone bilingue rispetto a quelle monolingue, o almeno una successiva insorgenza del morbo di Alzheimer per i bilingui. In effetti, come sostengono anche Roberts e Kreuz, ci sono alcune prove a sostegno di questa affermazione.

 

Demenza e bilinguismo: uno studio autorevole...

Da un noto studio pubblicato nel 2007 effettuato da Ellen Byalistok e dai suoi colleghi in una clinica della memoria a Toronto, è risultato che nei pazienti monolingue l’età media dell’insorgenza della demenza era di 71 anni. I pazienti bilingue, invece, hanno mostrato segni di demenza a partire da un’età media di 75 anni. In uno studio di questo tipo una differenza di quattro anni è molto significativa e non potrebbe essere spiegata da altre differenze sistematiche tra i due gruppi. Ad esempio, i pazienti monolingue hanno riportato, in media, un anno e mezzo in più di scolarizzazione rispetto ai pazienti bilingue, quindi ovviamente l'effetto non era dovuto all'istruzione formale. Come sostiene anche Ellen Byalistok in un’intervista rilasciata al The New York Times, per ottenere questo tipo di risultato, cioè una differenza di 4 anni nell’età di insorgenza della demenza, le persone bilingue devono usare sempre entrambe le lingue: non è stato riscontrato un beneficio da un uso occasionale.

 

...e alcune ipotesi

Inoltre, come già detto, siccome non conosciamo ancora bene le cause della demenza non esistono delle vere e proprie precauzioni che le persone possono adottare per prevenirla. Spesso però sui giornali leggiamo i rimedi più svariati: fare esercizio fisico, risolvere le parole crociate, mangiare pesce, non fumare e, secondo altri studi sull’invecchiamento, anche essere connessi alla propria comunità e avere frequentemente delle interazioni sociali è importante per prevenire l'insorgenza della demenza.

Tuttavia, i risultati sono molto meno chiari di quanto i media popolari potrebbero indurre a credere: le persone anziane che conducono una vita sociale attiva sono, quasi per definizione, più sane delle loro controparti che raramente escono di casa o interagiscono con gli altri. Quindi, essere socialmente attivi impedisce l'insorgenza di demenza? Oppure le persone che non hanno demenza hanno maggiori probabilità di essere socialmente attive?

Secondo un articolo pubblicato nell’agosto di quest’anno sul The Sun, un tabloid inglese, giocare a bingo o andare al pub con gli amici può proteggere contro la demenza (“Playing bingo or going to the pub with pals can help protect against dementia”). O ancora, sempre secondo il The Sun i pazienti affetti da demenza trarrebbero beneficio da un'ora di interazione sociale alla settimana (“Dementia patients would benefit from an hour of social ­interaction a week, study claims”).

 

Riscontri positivi del bilinguismo

In conclusione, come sostengono Roberts e Kreuz, per quanto incoraggianti siano questi tipi di studi, non hanno ancora stabilito esattamente come o perché esistano differenze tra bilingui e monolingui: sono sicuramente necessarie ulteriori ricerche per determinare i motivi per cui l’insorgenza della demenza in persone bilingue alcune volte si verifica più tardi.

Quindi, studiare una lingua straniera non è una cura magica, ma ha sicuramente dei riscontri positivi: il multilinguismo ha senza dubbio dimostrato di avere molti vantaggi sociali, psicologici e sullo stile di vita.

 

Per ulteriori informazioni, potete leggere un estratto (in inglese) dal libro “Becoming Fluent: How Cognitive Science Can Help Adults Learn a Foreign Language” di Richard Roberts (funzionario del servizio estero, attualmente in servizio come funzionario per gli affari pubblici presso il Consolato Generale degli Stati Uniti a Okinawa, Giappone) e Roger Kreuz (decano associato e direttore degli studi di laurea presso il College of Arts and Sciences e professore di psicologia all'Università di Memphis).

 

“Becoming Fluent: How Cognitive Science Can Help Adults Learn a Foreign Language” di Richard Roberts e Roger Kreuz (ISBN: 9780262529808) potete trovarlo qui (in inglese).

 

“Changing Minds: How Aging Affects Language and How Language Affects Aging” di Richard Roberts e Roger Kreuz (ISBN: 9780262042598) potete trovarlo qui (in inglese).

 

Lo studio di Ellen Bialystok, Fergus I.M.Craik, Morris Freedman “Bilingualism as a protection against the onset of symptoms of dementia” potete trovarlo qui (in inglese).

 

L’intervista del The New York Times fatta a Ellen Bialystok potete trovarla qui (in inglese).

 

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